Nelle profondità dell’universo
Il passo successivo, dopo una DSLR, è una camera CCD raffreddata. Chi ha più esperienza usa camere in bianco e nero e filtri colorati.
La fotografia deep-sky con una camera CCD raffreddata
Anche se alcuni astrofotografi riescono a produrre immagini deep-sky straordinarie con fotocamere DSLR non raffreddate, spesso ci si affida a camere CCD raffreddate per evitare gli aspetti negativi delle reflex, come lo sfavorevole rapporto tra rumore e segnale. Basta un po’ di pratica per ottenere immagini spettacolari.
Un piccolo passo dalla reflex digitale verso una fotocamera CCD raffreddata potrebbe essere quello di sceglierne una con un sensore a colori: in questo caso si conservano i vantaggi della reflex digitale, ovvero la creazione di un'immagine a colori con un solo scatto, evitando però gli svantaggi, e cioè il rumore di una fotocamera non raffreddata. Tuttavia, molti fotografi deep-sky preferiscono utilizzare una fotocamera CCD raffreddata con un sensore in bianco e nero, perché è molto più versatile e, di solito, ha una sensibilità maggiore rispetto a un sensore a colori.
Immagini a confronto: la nebulosa Testa di Cavallo (Barnard 33, IC434) ripresa con tre diversi filtri Hα con bande passanti diverse:
Gli scatti hanno lo stesso tempo di esposizione e sono state elaborate allo stesso modo. Si vede chiaramente che con la diminuzione della larghezza a metà altezza vengono bloccate porzioni sempre più grandi della luce delle stelle (continua). Purtroppo, man mano che la banda passante diventa più stretta, aumentano anche i requisiti per la produzione di tali filtri e quindi il loro prezzo.
La lunghezza focale dipende dall’oggetto
I sensori in bianco e nero richiedono la produzione di (almeno) tre scatti tramite appropriati filtri rossi, verdi e blu per produrre un'immagine a colori, ma permettono l'uso di filtri aggiuntivi (per esempio a banda stretta e lineari). Questo presuppone la necessità di cambiare i filtri: serve quindi una slitta o una ruota portafiltri motorizzata e controllata dal software di registrazione.
Chi si impegna nell’astrofotografia più sofisticata, e si specializza per esempio sulle stelle doppie o sulle nebulose planetarie, seguirà requisiti specifici nella scelta dell’ottica: per questi piccolissimi oggetti celesti può essere determinante l’uso di lunghezze focali a partire da 2000 mm fino a 3000 mm. Per fotografare questo tipo di oggetti esistono ottiche ottimizzate nelle configurazioni Ritchey-Chrétien o Cassegrain; d’altra parte, le nebulose di debole luminosità richiedono telescopi con lunghezze focali più corte, comprese tra 500 mm e 1500 mm. Per questi oggetti, si consiglia l'uso di ottiche veloci, con lunghezza focale breve e un'ampia apertura. Si tratta di strumenti in grado di illuminare un campo immagine di dimensioni (almeno) pari a quella del sensore a pieno formato. Soprattutto nell’ambito degli astrografi con grandi aperture e ampio campo immagine, esistono numerosi modelli specifici che possono costare come un’utilitaria.
Una montatura davvero stabile e un treppiede o una colonna adeguata, con un’autoguida affidabile, sono strumenti indispensabili per la fotografia deep-sky. Niente infatti è sgradevole come rendersi conto, dopo una notte lunga e limpida, che nelle immagini catturate le stelle non sono puntiformi perché la montatura non ha funzionato a dovere, non era stata orientata al nord con sufficiente precisione oppure non era abbastanza stabile da resistere al vento.
In dettaglio
I filtri e il loro utilizzo
Filtri Hα
Molte nebulose a emissione mostrano chiaramente le loro strutture non appena si applica un filtro Hα. Questo tipo di filtro aiuta a bloccare la maggior parte dello spettro della luce, in modo da rendere meglio visibili le deboli radiazioni Hα con lunghezza d’onda di 656 nm, aumentando il contrasto. L’effetto dipende dalla larghezza della banda passante: più la banda passante del filtro è stretta (e più è precisamente calibrata su una specifica lunghezza d’onda), maggiore può essere l’effetto osservabile.
Filtri [OIII]
Questo tipo di filtro è molto adatto a fotografare la maggior parte delle nebulose planetarie e dei resti di supernova, perché riduce la luce delle stelle di due magnitudini e aumenta il contrasto tra nebulosa e cielo sullo sfondo. Anche le aree ai margini vengono spesso rese in modo più dettagliato rispetto alla fotografia senza filtro. La linea spettrale dell’idrogeno ionizzato due volte si trova a 496 nm e 501 nm; i comuni filtri [OIII] hanno quindi di solito una banda passante compresa tra 6 e 12 nm nell’intervallo tra 494 nm e 506 nm.
Filtri [SII]
Questo filtro, trasparente nella zona delle linee spettrali rosse, è adatto anche per fotografare le nebulose a emissione. In combinazione con i filtri [OIII] e Hα, i filtri [SII] sono tradizionalmente utilizzati per creare immagini in falsi colori delle nebulose. La linea spettrale dello zolfo ionizzato una volta si trova a 672 nm; i comuni filtri [SII] hanno di solito una banda passante da 6 a 12 nanometri intorno a questa linea centrale.
Filtri Hβ
A differenza dei filtri Hα, i filtri Hβ sono trasparenti nell’intervallo della luce blu. Sono adatti per fotografare alcune nebulose a emissione, poiché non tutte le aree di queste nebulose emettono forti radiazioni nell'intervallo [OIII]. In alcuni casi, i filtri Hβ risultano quindi più adatti alla fotografia in falsi colori. La linea spettrale della linea Hβ dell'idrogeno si trova a 486 nm; i comuni filtri Hβ hanno solitamente una banda passante tra 8 e 12 nm attorno a questa linea centrale.
I filtri nella fotografia CCD
Per poter produrre immagini colorate usando una camera CCD monocromatica non raffreddata è imprescindibile, come già accennato, usare filtri colorati o a banda stretta: un classico set composto da un filtro rosso, verde e blu è di solito il punto di partenza per riprendere immagini a colori di oggetti celesti. Tuttavia, per far risaltare alcuni dettagli specifici, tornano utili diversi filtri a banda stretta o lineari (vedi riquadro). Le singole immagini create tramite i diversi filtri possono essere associate ai singoli colori primari durante la successiva elaborazione, in modo da ottenere un'immagine luminosa e colorata, partendo dai vari scatti in bianco e nero delle singole lunghezze d'onda. Poiché non è raro che la fotografia del cielo profondo richieda tempi di esposizione di diverse ore, è consigliabile portare sempre con sé un binocolo per "passeggiare" nel cielo stellato mentre la fotocamera del telescopio esegue la sequenza delle esposizioni.
Autore: Ullrich Dittler / Su gentile concessione di: Oculum-Verlag GmbH